Sbloccare il potenziale della transizione energetica con regole sostenibili

In tutto il mondo, la transizione energetica non è più un concetto astratto né un tema confinato alle agende istituzionali o ad attività che sfociano nel greenwashing. È ormai una componente strategica delle politiche industriali e delle scelte di investimento di governi e organizzazioni, le quali intravedono nella transizione energetica una leva concreta di competitività e innovazione.

Etichettare la transizione energetica ad un ammordernamento delle fonti energetiche è sbagliato: oggi la transizione ridisegna le catene del valore, orientando la finanza internazionale e gli scenari geopolitici, incidendo in presa diretta sulle logiche produttive, aprendo spazi per nuovi modelli di business. Non sorprende quindi che gli obiettivi fissati per il 2030 siano diventati un punto di riferimento condiviso da un numero crescente di Paesi, organizzazioni e PMI.

Per molte aziende, restare in scia o addirittura anticipare questa trasformazione non è più una scelta opzionale ma una mossa strategica per posizionarsi nei mercati più avanzati, attraendo capitali extra-continentali e fornendo nuove risposte alle aspettative crescenti di stakeholder sempre più attenti ai criteri ESG.

Un mercato in forte espansione

I numeri aiutano a capire la portata della trasformazione in atto. Secondo il report World Energy Investment 2025 dell’International Energy Agency (IEA)[1], gli investimenti globali in energia pulita — i quali comprendono rinnovabili, reti intelligenti, efficienza energetica ed elettrificazione dei consumi finali — supereranno i 2.020 miliardi di euro nel 2025, il doppio rispetto agli investimenti destinati alle fonti fossili.

L’Unione Europea si posiziona oggi al terzo posto su scala globale per volume di investimenti energetici, con circa 276 miliardi di euro previsti per quest’anno. Di questi, oltre la metà sarà destinata a progetti legati all’energia pulita e alla decarbonizzazione.

Il trend è chiaro: in Europa, gli investimenti in rinnovabili ed efficienza sono più che raddoppiati negli ultimi cinque anni, anche grazie all’accelerazione impressa dalla crisi energetica del 2022. La cosiddetta “Age of Electricity”, come la definisce l’IEA, sta ridisegnando il panorama industriale europeo e globale, creando nuove opportunità in ogni segmento della filiera della transizione.

In questo contesto, diventa ancora più evidente quanto il sistema italiano rischi di restare ai margini se non saprà allinearsi ai nuovi standard di attrattività e competitività richiesti dal mercato globale.

Le criticità italiane: dall’incertezza al disallineamento normativo

Se da un lato l’imprenditoria italiana dimostra un crescente interesse verso le opportunità legate alla transizione energetica, dall’altro il contesto normativo e amministrativo continua a presentare criticità significative che rischiano di frenare lo sviluppo di nuovi progetti.

Le principali difficoltà che oggi le aziende incontrano sono molteplici:

  1. Burocrazia e incertezza autorizzativa. Gli iter per ottenere permessi e autorizzazioni sono spesso lenti, opachi e disomogenei. Tempi imprevedibili e norme sovrapposte aumentano i costi e i rischi per le imprese, scoraggiate da gap sempre più ampi tra domanda e risposta. Il disallineamento normativo tra Regioni, Province e Comuni rende difficile pianificare investimenti su scala nazionale, ostacolando la scalabilità dei progetti. Inoltre questa situazione scoraggia l’ingresso di capitali esteri non avvezzi a questa forma mentis e fa recedere coloro che si sono già impegnati in attività tramite iniziative come il PNRR[2].
  2. Mancanza di collaborazione tra istituzioni e filiere produttive. Il sistema della transizione coinvolge una pluralità di attori come pubbliche amministrazioni, imprese industriali, istituti finanziari, provider tecnologici. A mancare sono protocolli condivisi e un coordinamento efficace tra questi soggetti.
  3. Normative ancora in corso di aggiornamento. L’evoluzione tecnologica e dei modelli di business corre più veloce della capacità normativa di recepirla, generando un divario tra il mercato e il quadro regolatorio. Ad oggi le interlocuzioni sono solamente informali tra i rappresentanti legali delle aziende e il legislatore, evidenziando dunque la mancanza di una norma aderente alle effettive necessità di mercato. Inoltre, questo mancato confronto sfocia nell’aumento di contenziosi che gravano sui tribunali italiani.

Un sistema non ancora pronto

Queste criticità riflettono tutte una realtà di fondo: l’interesse per la transizione è cresciuto esponenzialmente, ma il sistema-Paese non si è ancora preparato per accompagnare questa evoluzione.

Molti dei meccanismi amministrativi e delle logiche regolatorie oggi in vigore sono stati concepiti per un’economia tradizionale, in cui non si prevedeva la necessità di abilitare nuove traiettorie di sviluppo sostenibile.

Inoltre, la governance multilivello tipica del nostro ordinamento, se non adeguatamente coordinata, rischia di trasformarsi in un freno: il risultato è un mosaico normativo frammentato, in cui ogni attore interpreta le regole in modo diverso.

Il costo della mancata attrattività

Questa situazione comporta conseguenze molto concrete. Oggi l’Italia riesce ad attrarre prevalentemente investitori già culturalmente allineati al contesto locale — in particolare provenienti da Paesi confinanti o dal bacino mediterraneo — ma fatica a risultare attrattiva per i grandi fondi globali.

I grandi investitori – che rappresentano una leva fondamentale per finanziare la transizione su larga scala – cercano contesti caratterizzati da certezza regolatoria, semplicità procedurale e trasparenza amministrativa.

In un mercato che vale oltre 2.000 miliardi di euro l’anno a livello globale, non essere competitivi dal punto di vista normativo significa perdere opportunità strategiche: capitali che potrebbero finanziare la transizione italiana finiscono per essere investiti in altri Paesi europei o in mercati emergenti più reattivi. Un esempio arriva dagli Stati Uniti: ad oggi il 45% delle big companies quotate in Borsa è attiva sul mercato con soluzioni legate alla transizione energetica, con un volume d’affari pari seimila miliardi di dollari.

Il rischio è che l’Italia resti ai margini della transizione, con ricadute negative sulla competitività industriale e sull’occupazione.

Le due direttrici di intervento

Per colmare questo gap e rendere il Paese più attrattivo, occorre intervenire su due direttrici fondamentali.

La prima è relativa all’armonizzazione dei processi autorizzativi a livello nazionale. È necessario superare la frammentazione attuale e garantire maggiore coerenza e prevedibilità negli iter autorizzativi.

Esperienze internazionali, come quella della Polonia — che ha introdotto sportelli unici e protocolli standardizzati — dimostrano che semplificare i processi porta risultati concreti: tempi più rapidi, maggiore trasparenza e minori costi per gli investitori.

In Italia, un approccio analogo richiederebbe:

  • l’adozione di linee guida nazionali vincolanti
  • strumenti digitali per il monitoraggio dei procedimenti
  • una maggiore integrazione tra i diversi livelli istituzionali

Inoltre, è necessario un cambio di paradigma nella pubblica amministrazione: occorre passare da una logica di controllo a una logica di partnership pubblico-privato per facilitare gli investimenti strategici.

La seconda, non per importanza, direttrice è legata alla valorizzazione del ruolo della professione legale, la quale funge da cerniera tra le esigenze delle imprese e il quadro normativo.

Oggi gli avvocati specializzati in diritto dell’energia e della sostenibilità svolgono un ruolo chiave nell’accompagnare i progetti lungo percorsi compatibili con le regole esistenti. Ma troppo spesso questo ruolo è esercitato in modo informale e non strutturato.

Istituzionalizzare il dialogo tra avvocatura, imprese e amministrazioni — ad esempio attraverso tavoli tecnici permanenti — consentirebbe di:

  • anticipare i problemi interpretativi
  • prevenire il contenzioso
  • costruire prassi operative più stabili e trasparenti

La funzione della consulenza legale deve essere vista come un investimento strategico per migliorare l’efficienza dei processi e aumentare l’attrattività del sistema-Paese.

Verso una regolazione sostenibile e abilitante

La transizione energetica offre all’Italia un’occasione unica per rilanciare la propria competitività e attrarre nuovi investimenti.

Ma per cogliere questa opportunità, è indispensabile costruire un quadro regolatorio sostenibile e abilitante: un contesto normativo che non ostacoli l’innovazione, ma la sostenga attraverso:

  • chiarezza
  • semplicità
  • coerenza

Non si tratta solo di aggiornare le norme, ma di promuovere una nuova cultura della regolazione, capace di valorizzare la collaborazione tra istituzioni, imprese e professioni.

In un mercato globale che vale oltre 2.000 miliardi di euro l’anno e che cresce a ritmo sostenuto, ogni ritardo rischia di tradursi in opportunità perse.

Investire in una regolamentazione sostenibile non è più solo una necessità tecnica. È una scelta di politica industriale e una leva strategica per il futuro dell’economia italiana.

 

BIP affronta il tema con l’esperto del settore
Marco Muscettola, Partner, BIP Law&Tax

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