Innovare per custodire il futuro: la sfida dell’uso sostenibile delle risorse del territorio

In un mondo segnato tanto dal cambiamento climatico quanto da crescenti tensioni geopolitiche, la gestione sostenibile delle risorse naturali non è più un’opzione, ma una responsabilità collettiva. L’acqua, il suolo, l’aria, la biodiversità sono sottoposti a pressioni sempre più intense: l’aumento demografico, l’urbanizzazione, il degrado degli ecosistemi e del suolo ne mettono a rischio la disponibilità e la qualità. Eppure, mentre la domanda globale di risorse cresce, la loro disponibilità diventa sempre più limitata, frammentata e vulnerabile.  

In questo contesto, la tecnologia offre strumenti potenti, ma da sola non basta. Per generare un impatto duraturo, il cambiamento deve essere parte di una visione sistemica, capace di integrare innovazione e partecipazione attiva 

Usare in modo sostenibile le risorse del nostro territorio significa mettere al centro il benessere delle persone e delle comunità, presenti e future. Significa trasformare l’innovazione in cura. E la sostenibilità in scelta quotidiana. 

Sostenibilità ambientale e Agenda 2030: il ruolo delle risorse naturali 

La sostenibilità ambientale è uno dei tre assi chiave dello sviluppo sostenibile insieme alla componente economica e a quella sociale, come delineato dall’Agenda 2030 dell’Onu adottata dalle Nazioni Unite nel 2015 –  che individua le azioni da intraprendere per tutelare le generazioni future. 

L’Agenda 2030 ci offre una bussola: ci chiede di agire per garantire a tutti l’accesso a risorse naturali sicure, eque e durature. E non è un caso che la sostenibilità ambientale sia centrale tra i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), molti dei quali direttamente collegati alla gestione responsabile delle risorse naturali. Troviamo, ad esempio: la gestione sostenibile dell’acqua (SDG 6), la lotta al cambiamento climatico (SDG 13), la tutela degli ecosistemi terrestri (SDG 15) e la promozione di città e comunità sostenibili (SDG 11). 

L’Unione Europea ha integrato pienamente questi obiettivi nella sua strategia di sviluppo, in particolare attraverso il Green Deal Europeo, che punta alla neutralità climatica entro il 2050. Un impegno che passa per la transizione energetica, la promozione dell’economia circolare, la protezione della biodiversità e l’uso efficiente delle risorse naturali. 

La sfida urbana: territori protagonisti della transizione ecologica 

La sfida demografica e climatica globale riporta le città al centro del dibattito internazionale.
La dimensione urbana gioca infatti un ruolo cruciale: le città ospitano già oggi oltre il 54% della popolazione mondiale, generano più dell’80% del PIL globale, ma sono anche responsabili di oltre il 70% delle emissioni di gas serra. Inoltre, entro il 2030 si prevede che oltre il 60% della popolazione vivrà in aree urbane, con un incremento concentrato nelle regioni meno sviluppate di Africa e Asia. 

L’impatto delle città sulla lotta alla povertà e al cambiamento climatico è quindi una delle sfide del presente. Ma le città non sono solo parte del problema: possono e devono essere protagoniste della soluzione, rendendo gli spazi urbani più verdi, inclusivi, digitali ed efficienti. 

La transizione ecologica può partire dai territori, ognuno con la sua diversa identità e storia da tutelare. È proprio valorizzando queste specificità che si possono costruire modelli di sviluppo sostenibile in modo partecipato e condiviso. 

Coinvolgere istituzioni, imprese, enti di ricerca, agricoltori e cittadini in percorsi comuni è la chiave per costruire alleanze durature tra competitività, inclusione e sostenibilità. 

La sfida dell’acqua: tra scarsità e resilienza 

Tra tutte, l’acqua è una delle risorse più critiche e strategiche del nostro tempo. Essenziale per la vita, l’agricoltura, l’industria e gli ecosistemi, è oggi minacciata da due fattori convergenti: la scarsità crescente e una gestione spesso inefficiente. 

Secondo il World Resources Institute, entro il 2040 oltre la metà della popolazione mondiale vivrà in aree a rischio idrico elevato. Anche in Italia, la situazione è sempre più complessa: il cambiamento climatico ha ridotto le precipitazioni medie annue (-30% nel 2022), con impatti significativi su agricoltura e produzione energetica. 

Ma non è solo una questione climatica: il problema è anche strutturale. In alcune aree del Paese, oltre il 40% dell’acqua potabile si disperde prima di arrivare ai cittadini, a causa di infrastrutture obsolete (il 35% delle condutture ha tra i 31 e i 50 anni). Al Sud, la dispersione arriva al 51%. Serve un cambio di paradigma, basato su una visione integrata e preventiva del ciclo idrico. 

Occorrono investimenti mirati, sostenuti anche da fondi europei come il NextGenerationEU, per modernizzare reti, promuovere il riuso delle acque reflue, adottare pratiche agricole meno idro-esigenti e sviluppare strumenti predittivi per affrontare siccità e alluvioni. L’acqua può così trasformarsi da vulnerabilità a leva di resilienza, competitività e sicurezza. 

Innovazione al servizio della sostenibilità 

La tecnologia gioca un ruolo fondamentale nella gestione sostenibile delle risorsa idrica. Oggi disponiamo di strumenti in grado di rivoluzionare il modo in cui monitoriamo, distribuiamo e utilizziamo l’acqua. 

Le tecnologie digitali stanno trasformando in profondità il modo in cui monitoriamo, distribuiamo e valorizziamo l’acqua. Le reti idriche intelligenti (smart water grid) abilitano un controllo continuo delle infrastrutture, permettendo di individuare in tempo reale guasti, dispersioni e consumi anomali, riducendo gli sprechi e migliorando la qualità del servizio.

Strumenti avanzati come sensori IoT, modelli predittivi basati su machine learning e piattaforme di analisi integrata consentono oggi alle utility di anticipare le criticità, ottimizzare la manutenzione e pianificare gli interventi in modo preventivo, con ricadute dirette sulla sostenibilità operativa ed economica. 

 Anche in agricoltura, la digitalizzazione apre nuove prospettive. Secondo i dati del CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria – l’adozione di pratiche di irrigazione di precisione, basate sull’integrazione tra droni, sensori ambientali, dati climatici e modelli agronomici, può ridurre i consumi idrici fino al 40%, salvaguardando rese produttive e risorse naturali. 

Infine, il riuso delle acque reflue trattate rappresenta una delle frontiere più promettenti per la gestione circolare della risorsa. Grazie a sistemi di depurazione avanzati e filiere controllate, le acque reflue possono essere trasformate in una fonte alternativa per usi agricoli, industriali e ambientali, riducendo la pressione sulle risorse primarie e contribuendo alla sicurezza idrica dei territori. 

L’integrazione di big data, immagini satellitari e modelli climatici permette una pianificazione più accurata e reattiva, migliorando la capacità decisionale degli enti locali, riducendo sprechi e costi. Non soltanto una questione di efficienza, ma anche di equità: garantire l’accesso a risorse idriche sicure e sostenibili significa rafforzare i diritti, la salute e la qualità della vita delle comunità più fragili.  

L’acqua come leva invisibile della transizione energetica 

Nel dibattito sulla neutralità climatica, l’acqua è spesso vista solo come una risorsa da proteggere. Eppure, è anche una leva strategica per abilitare modelli energetici Net Zero nei territori. Il ciclo idrico è strettamente interconnesso con quello energetico: ogni litro captato, trattato e distribuito comporta un consumo energetico, così come ogni infrastruttura idrica può essere un potenziale punto di produzione rinnovabile. 

In Italia, secondo i dati Utilitalia, il settore idrico consuma circa 6,4 TWh/anno, pari a quasi l’1,8% del fabbisogno elettrico nazionale. Solo il trattamento delle acque reflue incide per oltre 1 TWh/anno. Questo dato evidenzia come migliorare l’efficienza energetica nel settore idrico non sia una nicchia, ma una priorità strategica per la decarbonizzazione. 

Efficienza energetica nel ciclo idrico 

  • Interventi su pompe e impianti possono ridurre i consumi energetici del 20% 30%, migliorando efficienza e resilienza 
  • La digitalizzazione dei processi consente una gestione più predittiva e sostenibile delle reti e dei trattamenti 
  • Ridurre le perdite idriche che superano il 45% in alcune aree, significa anche evitare sprechi di energia

Produzione distribuita da fonti rinnovabili nei siti idrici 

  • Impianti fotovoltaici su depuratori o serbatoi possono coprire fino al 20% del fabbisogno elettrico annuo 
  • Il recupero di biogas dai fanghi consente una forte riduzione delle emissioni e dei costi operativi 

 L’investimento a lungo termine per uno sviluppo duraturo 

La transizione ecologica non nasce nei laboratori, ma prende forma nei territori, attraverso esperienze concrete che dimostrano come la sostenibilità possa diventare un motore di sviluppo duraturo. Non si tratta di un costo da sostenere, ma di un investimento a lungo termine, capace di generare valore ambientale, economico e sociale, rafforzare la coesione tra comunità e stimolare l’innovazione. 

Perché questa transizione sia davvero efficace, serve una governance condivisa e multilivello: istituzioni, imprese, università, agricoltori e cittadini devono essere protagonisti attivi, uniti da una visione comune e da un impegno costante, per una nuova cultura della responsabilità e della cooperazione. 

Custodire l’acqua, il suolo, l’aria e la biodiversità significa garantire condizioni di vita migliori, oggi e domani. Significa mettere la tecnologia al servizio della rigenerazione del territorio, e le risorse naturali al centro di un modello di crescita più equo, resiliente e inclusivo. 

 

 

BIP affronta il tema con gli esperti del settore

  • Antonio Iuculano, Partner e Major Utilities Business Area Leader, BIP
  • Vittorio Spinuso, Partner, BIP

 

 

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