Net zero entro il 2050, ossia zero emissioni nette di carbonio in poco più di due decenni ormai. Questo è l’obiettivo cardine previsto dall’Accordo di Parigi, un trattato giuridicamente vincolante firmato da 194 paesi e dall’UE nel 2019, anno in cui la Commissione europea ha presentato la tabella di marcia per un’Europa climaticamente neutra: il Green Deal.
Fondamentale riuscire a limitare al di sotto di 1,5°C il riscaldamento globale, una soglia oltre la quale non sappiamo in che modo il cambiamento climatico trasformerà le nostre città. Eppure, nel 2023 il riscaldamento globale è arrivato a 1,45 gradi sopra i livelli pre-industriali, a un soffio di quanto fissato dall’Accordo di Parigi e poi dalla Cop26 di Glasgow.
I dati sono quelli dell’Organizzazione meteorologica mondiale, la Wmo, che parla di “allarme rosso” per il clima. Non solo: nel nuovo rapporto “WMO Global Annual to Decadal Climate Update – Target years: 2024 and 2024-2028” prevede anche come “la temperatura media globale in prossimità della superficie per ogni anno tra il 2024 e il 2028 sarà compresa tra 1,1° C e 1,9° C superiori rispetto alla linea di base del periodo 1850-1900”, e afferma che è probabile (86%) che “almeno uno di questi anni stabilirà un nuovo record di temperatura, battendo il 2023 che è attualmente l’anno più caldo”.
Scientificamente parlando, i dati rappresentano in maniera chiara il grande rischio al quale stiamo andando incontro, ossia quello di avere sempre più città invivibili, con eventi meteo estremi ad alta frequenza e intensità. Ma il problema dei dati è quello di far apparire le situazioni lontane, come se non fossero già parte della nostra quotidianità. Tralasciando anche l’aspetto umano dietro ognuna di queste vicende.
A che punto siamo con la transizione
“Il percorso verso 1,5 °C si è ristretto negli ultimi due anni, ma le tecnologie per l’energia pulita lo stanno mantenendo aperto”. A dirlo è Fatih Birol, direttore esecutivo dell’IEA, l’Agenzia internazionale per l’energia, nella sua Roadmap per lo zero netto al 2050 aggiornata al 2023, e che lancia un messaggio molto chiaro: “una forte cooperazione internazionale è cruciale per il successo. I governi devono separare il clima dalla geopolitica, data la scala della sfida in corso”.
“Con il crescente slancio internazionale dietro obiettivi globali chiave – spiega – come il triplicare la capacità rinnovabile e il raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030, che porterebbero insieme a una più forte riduzione della domanda di combustibili fossili in questo decennio, è vitale impegnarsi a una maggiore ambizione e attuazione negli anni rimanenti di questo decennio critico“.
Di passi avanti ne sono stati fatti, ma serve ancora impegno in rinnovabili ed elettrificazione. A valle occorre aumentare la spesa pubblica e privata, soprattutto per le tecnologie di supporto, e rimane “assolutamente vietato estrarre nuovi combustibili fossili”.
La roadmap riconosce l’importanza di promuovere una transizione equa che tenga conto delle diverse circostanze nazionali. Ad esempio, che le economie avanzate raggiungano lo zero netto in anticipo, per dare più tempo alle economie emergenti e in via di sviluppo. E che il percorso preveda l’accesso completo alle forme moderne di energia per tutti entro il 2030, attraverso investimenti annuali di quasi 45 miliardi di USD – ossia poco più dell’1% degli investimenti nel settore energetico.
Il percorso dell’Italia verso il 2030
“Nell’anno record in cui 3.400 eventi meteoclimatici estremi hanno colpito l’Italia, abbiamo stimato un calo delle emissioni di gas serra di 27 milioni di tonnellate: questo valore, se confermato, ci consentirebbe di restare in traiettoria verso i target europei del 2030. Sebbene il calo delle emissioni sia stato trainato da un mix di fattori soprattutto congiunturali, si tratta di una buona notizia”. Questo l’incipit della quinta edizione de “I 10 key trend sul clima in Italia” di Italy4Climate.
Anche per l’Italia la partita non è chiusa, dunque. Ma occorre una lettura critica dei dati, soprattutto se ci concentriamo sulle emissioni serra: “Apparentemente la situazione dal punto di vista dello sviluppo delle rinnovabili, la principale arma che abbiamo per ridurre le emissioni serra, sembrerebbe buona, perché negli ultimi due anni siamo passati da poco più di 1 gigawatt di nuove rinnovabili installate in Italia a quasi 6 gigawatt”, commenta Antonio Cianciullo, giornalista esperto di clima, attualmente responsabile della sezione ambiente dell’Huffington post.
“Ma in realtà, secondo le stime del Politecnico di Milano, già nel 2025 e poi nel 2026 scenderemo di nuovo a 2 gigawatt, perché la crescita registrata negli ultimi due anni è stata una crescita drogata dal superbonus, e quindi occorre considerare che 4 di questi 6 gigawatt vengono dai piccoli impianti di fotovoltaico piazzati sui tetti delle case. Una misura giusta ma insufficiente, e tutto questo in un’Europa in cui molti fanno meglio di noi”.
Queste contraddizioni mostrano un percorso al 2030 molto travagliato per l’Italia, che per centrare gli obiettivi al 2030 dovrebbe installare 12 gigawatt all’anno. “Inoltre – prosegue Cianciullo – dal punto di vista della convenienza economica un modello che si basa in maniera prevalente sul piccolo fotovoltaico ha un costo maggiore di un modello con un mix più equilibrato di impianti di scala industriale e di impianti domestici”.
Il costo sociale della transizione
Secondo l’ultimo sondaggio dell’Eurobarometro (luglio 2023), il 77% dei cittadini dell’UE ritiene che il cambiamento climatico sia un problema molto serio. Un mindset necessario e che segue un altro cambiamento: quello relativo agli stili di vita sostenibili. Per la prima volta nella storia degli Assessment Report, infatti, il Panel intergovernativo sul climate change (IPCC) – il principale organismo scientifico mondiale per la valutazione dei cambiamenti climatici – ha sottolineato quanto una modifica sostanziale delle nostre abitudini possa ripercuotersi positivamente sul clima.
“Tra le 60 azioni identificate che potrebbero cambiare il consumo individuale, le scelte di mobilità individuale hanno il maggior potenziale di riduzione delle impronte di carbonio”, si legge nel rapporto dell’IPCC. “Dare la priorità alla mobilità senza auto, a piedi e in bicicletta, e adottare la mobilità elettrica potrebbe far risparmiare 2 tCO2e pro capite l’anno”. Altre opzioni con un alto potenziale di mitigazione includono “la riduzione dei viaggi in aereo, le regolazioni dei termostati per il raffrescamento, l’uso ridotto degli elettrodomestici, il passaggio al trasporto pubblico e lo spostamento dei consumi verso diete a base vegetale”.
È evidente quanto, però, non basti l’impegno del singolo cittadino. In questo quadro alcune classi sociali rischiano di pagare maggiormente il costo della transizione ecologica, ed è dunque più che mai vitale che i governi di oggi sappiano guidare in maniera equa il passaggio a fonti di energia rinnovabile e tecnologie verdi collaudate, tutelando il pianeta e le persone, imponendo alle aziende il rispetto dei diritti umani.
“Siamo di fronte ad una nuova rivoluzione, quella del digitale e dell’efficienza energetica – conclude Cianciullo – ed è chiaro che alcuni lavori sono destinati a perdersi, così come altri sono destinati ad essere creati. Bisogna avere la capacità di adattarsi, di innovare, di formare i lavoratori per le nuove professioni e di accompagnare questa trasformazione e di assistere chi, per limiti di età e di competenze, non è in grado di fare il salto. Senza un progetto che tenga assieme gli elementi della sostenibilità e quelli del sociale, il processo rischia di arenarsi. C’è bisogno di un messaggio credibile di miglioramento non solo ambientale, ma anche sociale”.
Qualcosa da fare al più presto, dal momento che le emissioni globali di gas serra, avverte ancora l’IPCC, “raggiungeranno il picco entro il 2025 al più tardi e dovranno essere ridotte del 43% entro il 2030 se vogliamo limitare il cambiamento climatico a 1,5°C ed evitare la catastrofe completa”.